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Gioco

Il diritto al gioco è un modo per non lasciare gli anziani soli

Bocciofila Corona Ferrea, Monza
In una società sempre più priva di spazi di aggregazione non legati al mero consumo, una bocciofila aperta a tante associazioni, può trasformarsi in un presidio territoriale per tutta la comunità, dove giovani e anziani, persone con disabilità, famiglie e bambini si incontrano e costruiscono una rete, a partire dal gioco.

Monza. La vista dall’esterno, con i mattoncini rossi, il tetto spiovente e quel grigiore che tanto caratterizza la Brianza, non rende giustizia a un luogo che è molto più di una semplice bocciofila. Lo si percepisce appena si supera l’ingresso. I tavoli sono gremiti di giocatori chiassosi, accaniti di briscola e di scopa. Dietro al bancone del bar Bisboccia, uno sparuto gruppo di ragazzi e ragazze diversamente abili è impegnato a preparare caffè e aperitivi. Oltre la rete, quattro corsie sono occupate da giocatori di ogni genere ed età, impegnati a sfidarsi a bocce. «È una soddisfazione vedere questo posto pieno», dice, inorgoglito, Cesare Russomanno, 67 anni, alla guida della Bocciofila Corona Ferrea e volontario dell’associazione sportiva dilettantistica Silvia Tremolada che gestisce l’ex bocciodromo Rosmini. A luglio 2021, le associazioni Ascot Triante, Novo Millennio, Rugby Monza 1949, e la Silvia Tremolada hanno avviato una partnership con il Comune di Monza per la gestione di questo spazio pubblico con l’obiettivo di trasformarlo in un polo sportivo e sociale vocato all’inclusione. A partire dalle bocce.

«È bellissimo vedere anziani, bambini e persone con disabilità giocare tutti insieme», dice strepitando, il signor Cesare, «il diritto al gioco rende meno soli», aggiunge, come se volesse ribadire un pensiero che per troppi anni ha tenuto nascosto. Un pensiero che lo fa immediatamente ritornare indietro nel tempo, quando lui, non ancora adolescente, trascorreva i suoi pomeriggi con gli amici e i signori più anziani alla bocciofila di Brugherio, l’unico spazio dove “i poveri” e le persone delle classi sociali meno abbienti si potevano ritrovare per stare un po’ insieme, giocando e passando del tempo in compagnia. Sono passati cinquantacinque anni, una vita come operatore ecologico e, ancora oggi, il signor Cesare è in prima fila ad organizzare tornei e gare, impegnandosi ogni giorno socialmente e civilmente per gli altri.

In un’Italia sempre più vecchia – il 23,5% della popolazione ha più di 65 anni, secondo l’Istat e nel 2050 sara il 34,9% – spazi come questo, rappresentano veri e propri presidi di welfare. Spazi che saranno sempre più necessari per ripensare a un modello di welfare che vada incontro alle famiglie con bambini piccoli e agli anziani sempre più numerosi, con poche possibilità economiche e senza figli vicino. In altre parole, un modello di welfare che sappia ricostruire un patto inter e intragenerazionale, promuovere la socializzazione, l’inclusione sociale e ricostruire comunità sempre più sfilacciate.

Di fatto, ciò che avviene in questo spazio, è una combinazione di pratiche innovative di welfare e di “invecchiamento attivo”. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’invecchiamento attivo è un “processo di ottimizzazione delle opportunità relative alla salute, partecipazione e sicurezza, allo scopo di migliorare la qualità della vita delle persone che invecchiano”. In pratica è una politica che ha come obiettivo il mantenimento della dinamicità nei soggetti anziani i quali sono invitati a svolgere delle attività sociali e culturali, fare volontariato o esercizio fisico.

Invecchiare in maniera attiva permette, infatti, di ottenere benefici sulla salute sia fisica che psicologica, ma anche di migliorare la percezione di benessere e soddisfazione per la propria vita e di riflesso sulla comunità e sul servizio sanitario nazionale. E ciò significa ridurre i cosiddetti costi indiretti – ad esempio sanitari – che comunque ricadrebbero sulla collettività. Se si vive meglio, si mangia meglio, si fa sport, si è meno soli, a giovarne non è solo il singolo ma tutta la collettività.

L’invecchiamento, quindi, non può più essere considerato un problema da gestire o un carico sociale, ma una straordinaria occasione per ripensare e ridisegnare integralmente la società. In una società dove non ci sono spazi di aggregazione, se non quelli di consumo, lo Spazio Rosmini è un presidio per la collettività tutta. E non è un caso che qui si incontrano diverse associazioni del territorio di Monza e Comuni limitrofi, qui i ragazzi diversamente abili di diverse cooperative sociali si allenano a diventare autonomi, e sempre qui si organizzano raccolte di beni di prima necessità per le persone in fuga dalla guerra in Ucraina o per chi è in cammino lungo la rotta balcanica. Insomma, il signor Cesare ancora non lo sa ma qui si fa la politica. Quella con la P maiuscola.

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